18 January 2009

Gropiusstadt

"Gropiusstadt", by Marco Capitanio, from flickr.com


“Città come corpo”: un corpo vivente, in carne ed ossa; il corpo umano, insomma. Pensare la città in questi termini è un modo per entrare in relazione profonda con essa, per percepire chiaramente i sintomi della sua somatizzazione: ad esempio, pensare a Gropiusstadt mi fa stare male. L’enorme città satellite berlinese fu progettata originariamente da Walter Gropius, fondatore del Bauhaus, uno dei maestri del Movimento Moderno: nonostante il suo lavoro, a causa di motivi legati alla costruzione del muro e alla morte dell’architetto e alla conseguente modifica sostanziale del progetto, il quartiere divenne presto uno dei simboli del degrado urbano e umano, dello scollamento fra principi architettonici e abitanti con esigenze pratiche, oltre a quelle simboliche, attinenti alla sfera del rispetto e del riconoscimento. (“Respect”, Richard Sennett). L’aspetto interessante ora, nonostante la mia immagine del quartiere, è che di Gropiusstadt non ho esperienza diretta. Mi sono costruito insomma una mia città immaginaria, spazio immaginato. Ma come è possibile ciò?

La mia esperienza di Gropiusstadt arriva solamente da un film: vidi “Wir Kinder von Bahnhof Zoo” più o meno a diciotto anni; ne fui subito impressionato. Analizzando ora (a distanza di un paio di anni) le cause di questa impronta così profonda, credo che si riducano dopotutto alla conoscenza del luogo non in senso fisico, ma attraverso la conoscenza (indiretta) dei suoi abitanti: senza l’esperienza dei ragazzi presentati nel film, senza conoscere le loro abitudini, i ritrovi, le speranze e le tragedie, questa città satellite di Berlino mi sarebbe indifferente. Il degrado urbano coincide esattamente con il degrado umano; la metafora corpo umano/urbano si rafforza. Ma non solo conoscere la storia di Christiane mi rende “esperto”: anche immaginare Gropius dare il nome ad un completo fallimento, vissuto quotidianamente da tutti gli abitanti.

Ecco allora la città, qui a livello lessicale, pensata come corpo, nelle sue ferite, gli sventramenti, le cicatrici, i segni, la città che si sveglia, che cresce, si ritira, muore. La città è la casa ed entrambe sono un corpo: operare su uno di questi campi significa distribuire gli effetti su tutti i tre. Heinrich Zille disse che “Si può uccidere un uomo con un’ascia ma anche con una casa” pensando al quartiere di Neukölln, altro quartiere berlinese attiguo a Gropiusstadt, che soprattutto nei decenni scorsi ha vissuto drammaticamente la propria condizione; tuttavia in questo caso, il fatto mi lascia abbastanza indifferente: mi manca la relazione che invece ho per Gropiusstadt. Anche se avessi visitato Neukölln, ma senza incontri con i suoi abitanti, credo non potrei dire di conoscerla meglio della città di Gropius.

È il momento di fare una visita sul posto.


"Mit einer Wohnung kann man Menschen genauso töten wie mit einer Axt!".
Heinrich Zille

Gropiusstadt is fearful.

Coming from U-Bahn station Neukölln you arrive in a couple of squares in which it is suddenly clear the failure of the designers’ efforts to enhance the social and public life of such problematic areas like Gropiusstadt and Neukölln. Actually, a church, a community-building and a couple of sculptures seem just poor architectural solutions, quite useless for the people living there I guess. Here everything is out of scale (whatever it is): the green in-between the buildings is too loose, without any “tension” or density (maybe it was thought to be the residents’ park, hopefully, maybe under the influence of Le Corbusier’s Ville Radieuse). In Gropiusstadt live more or less 30 000 people, but we met in two hours, during our Sunday walk something like 20 persons, especially suspicious men, youngsters, and some moms with children supposed to play in one of the micro (but many) playing-zones spread around the quarter.

The buildings are conceived (in the typically Modern idea) like solitaires, resulting here completely without relationship between each other, self-standing objects. The “Wohnhochhaus Ideal” with its 31 floors is the main building of Gropiusstadt and one of the highest housing projects of the whole Germany: at the ground floor already appears the complete failure of the design: a pub, like a mirage in the desert lies in front of a hairdresser, a bio-shop and some few other commercial activities. Nothing else. A lady, noticing our camera, approaches us, asking if we would like to go inside the building: she suggests to reach the 29th floor and have a look from the public terrace. Before leaving she recommends: “Don’t jump!” “Pardon?” “It is not the first time that people comes, saying they want to have a look at the building, then go up to the last floor and they jump down.”

In the entrance hall claustrophobia is the main impression: in an extremely small corridor hundreds of fuchsia-leaflets are peeping out from the mailboxes; the lift is really fast (they say it holds some records) and in a bunch of seconds we find ourselves at the 29th floor. In the meanwhile I discover myself quite moved, I have a strong negative feeling which goes right through my stomach; when we finally arrive at the outdoor narrow corridor, overlooking the panorama from such a high perspective, I understand to be actually shocked. Here one can feel the extreme fragility of the human being, the scandalous “artificiality” of this building: I am scared, being on this corridor, right in front of an apartment’s door. The city is only seen in the distance, an organism disconnected with Gropiusstadt: seems that this place cannot, by some mysterious reason, participate to the city’s destiny.

One feels desperately lonely in Gropiusstadt: no hope for a human encounter; everything seems to deny the basic rules of life and human perception. Only when the daylight starts fading away you can see that people is living here for real, inside their “loculi”: when artificial light peeps out of the windows; but with a strange colour, orange rather than yellow, maybe an extreme signal of their resistance, an idiosyncrasy to show to everyone that they are still alive, at least for today.

4 comments:

punkbarbie said...
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punkbarbie said...

Assolutamente affascinata da Gropiusstadt, tanto da voler andare a Berlino solo per vederla. Mi rendo conto che vista così è un nulla, palazzoni anonimi di dubbio gusto nella periferia della città. Ma Wir Kinder vom Bahnhof Zoo mi ha cambiato la vita...e ne sono attratta, troppo forse. Le mie aspettative sarebbero sicuramente deluse se ci andassi, se le toccassi con mano. Ma ora mi trovo solo ad idealizzare questo posto, e mi sembra bellissimo.

Marco said...

Hi punkbarbie,

credo di aver avuto le stesse reazioni e penso tu abbia ragione: visitarla è una sorta di esperienza estetica. Ma superato questo il quartiere rimane una speculazione di pessima qualità a cui è stato dato il nome del povero Gropius.

punkbarbie said...

In effetti penso che l'unico modo per "smitizzarla" sia andarci...spero di riuscire a farlo quanto prima! Anche perchè stanno cominciando a prendermi per pazza XD