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PREISTORIA
Seguendo Learning from Las Vegas, ma anche l’esperienza quotidiana, a livello urbano la crisi del Piano Regolatore o dell’urban planning come strumento di controllo si presenta in stato avanzato: così come è stato impostata e in merito alle finalità proposte alla sua nascita, la pianificazione urbana oggi non ha la capacità di confrontarsi con la temporalità del reale. La realtà urbana si è dimostrata così complessa da sfuggire a previsioni a tavolino e gli organi di controllo politico del territorio risentono della ulteriore crisi dello Stato Nazione, a sua volta incapace di relazionarsi con la tendenza verso un sistema politico policentrico e “a rete”.
È possibile introdurre democraticità, virare verso un processo condiviso nei confronti della gestione della civitas, contro una soluzione quasi-definitiva decisa a tavolino da pochi attori (anche se esperti) che per definizione avrà problemi nella transizione dal piano teoretico a quello fisico, perché questo incorpora la quarta dimensione, il tempo? Soluzioni efficaci arrivano ormai nella misura in cui si comprende che l’architettura da sola è totalmente impotente, se non è supportata a diversi livelli: ad esempio, molti quartieri “difficili” non lo sono perché hanno architetture brutte, ma perché mancano di servizi etc. Se mettessimo dei barboni senza acqua e gas nella Reggia di Caserta, questa diventerebbe in un mese una metafora di disagio sociale. Ciò non toglie che se l’architettura da sola è impotente, possa contribuire parecchio a creare condizioni sfavorevoli alla vita sociale. Ma su che basi stendere un accordo partendo da queste constatazioni?
SHRINKING STRATEGIES
Il progetto Shrinking Cities, curato da Philipp Oswalt, fornisce alcuni spunti interessanti per gestire il fenomeno di spopolamento che sta interessando molte città a livello globale: in sostanza si cercano strategie che integrino all’interno della loro formulazione il coinvolgimento attivo della popolazione, invitata a contribuire al ripensamento degli spazi che essa stessa occupa e resa consapevole del processo in atto.
FLUSSI E INFRASTRUTTURE
Su un’altra scala, più piccola, esiste la possibilità di esprimere il concetto di flusso, apparso ormai da più di 100 anni, attraverso gli edifici e l’architettura? Sostituiamo alla parola architettura, infrastruttura: da quando è in uso il concetto di flusso (mutuato dalla fisica einsteiniana) applicato al mondo della quotidianità, i riferimenti immediati sono molto più rilevanti nel campo dell’infrastruttura (dalla linea telefonica alla metropolitana) che non in quello dell’architettura vera e propria. Sotto questo aspetto il flusso e conseguentemente la mobilità è connesso solo al progresso tecnologico e all’introduzione di nuove tecnologie, mentre può esserci architettura della mobilità solo se questa non è fisica, materiale, ma è immaginaria, immaginata e desiderata; l’architettura come ci arriva da 2000 anni è il contrario del nomadismo, cioè del flusso (echeggia la New Babylon di Constant ispirata dagli zingari?). Ciò non toglie che nomadico e fluttuante sia l’uso che ne si fa (fabbriche trasformate in discoteche, chiese in sale da concerto etc.). Il flusso (e il successo) di un’architettura è nell’uso.
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